Ansia da prestazione: Sintomi, cause, cura e soluzioni per superarla

Sintomi, cause, cura e soluzioni per superare l’ansia da prestazione e i problemi di erezione: come combattere e risolvere per sempre la disfunzione.

1. ANSIA DA PRESTAZIONE e PROBLEMI DI EREZIONE

L’ansia da prestazione sessuale concerne i problemi dell’erezione.

In Italia, la precentuale di popolazione maschile che soffre di problemi erettili è molto elevata (circa il 12,8%): il disturbo d’erezione si accresce con l’avanzare dell’età.

Spalmando questo dato numerico sull’incidenza del problema rispetto alle differenti fasce d’età avremo: il 2,1% nei soggetti maschi tra i 18 e i 29 anni; l’1,9% in quelli tra i 30 e i 39 anni (la lieve diminuzione percentuale si spiega in base al fatto che l’esperienza più matura dell’uomo adulto rispetto al giovane gli può garantire una maggiore gestione e limitazione degli errori psicologici nel rapporto sessuale);

il 4,8% negli uomini tra i 40 e i 49 anni;

il 15,7% in età tra i 50 e i 59 anni;

il 26,8% tra i 60 e i 70 anni (questo aumento esponenziale è naturalmente dovuto a una componente organica, e non psicologica, e/o a malattie concomitanti);

il 48,3% negli over 70 enni.
In riferimento a questo problema, occorre distinguere tra natura psicologica e organica del disturbo d’erezione. La statistica dimostra che nella popolazione maschile giovane e medio-giovane la causa originaria della disfunzione erettlie è psicologica, perlopiù legata ad ansia da prestazione sessuale o anche a depressione (con cui ci si riferisce agli errori di pensiero negativi, limitanti e catastrofici tipici dello schema cognitivo di un individuo con umore basso).
Tra i fattori di rischio per la disfunzione erettile, il primato spetta ai fattori psicologici legati a una condizione di età, ovvero all’inesperienza e/o a valutazioni errate sul proprio ruolo nel rapporto sessuale. È usuale ascoltare delle storie di pazienti che hanno un’erezione normale in solitaria, la quale però viene meno in presenza del partner all’imminenza della possibilità di consumare un atto penetrativo: è l’errore di pensiero circa la propria incapacità di condurre la performance sessuale a causare la perdita dell’erezione.


Un secondo fattore di rischio è la mancanza di adeguata attività fisica, che può avere delle ripercussioni problematiche sulla muscolatura, sull’ossigenazione o sull’elasticità: ciò provoca difficoltà erettive.
Condizioni di rischio sono anche quei farmaci, come ansiolitici e antidepressivi, che hanno indesiderati effetti collaterali sulla normale funzionalità erettiva. Il consumo di tabacco limita l’ossigenazione e il benessere fisico e, di conseguenza, la qualità dell’erezione; sullo stesso piano invalidante troviamo anche l’uso di alcool e di droghe.
Tra i fattori fisici che incidono nella disfunzionalità erettile troviamo le malattie cardio-vascolari, il diabete, i problemi epatici (al fegato) e neuropatici (ai reni), i disordini neurologici e ormonali.


Per la risoluzione dei problemi di natura organica in riferimento al disturbo preso in esame, è consigliabile la consulenza e il trattamento specifico presso medici specialisti; per quanto riguarda, invece, i fattori psicologici è conveniente un trattamento di psicoterapia cognitivo-comportamentale atto a fornire quelle strategie utili a ristrutturare e modificare gli schemi di pensiero invalidanti nell’approccio al rapporto sessuale.


Generalmente la difficoltà erettile di natura organica non è reattiva, cioè non è collegata ad alcuna situazione o alla relazione con la partner: è una condizione che si presenta costantemente senza una particolare causa. In questa forma, il desiderio sessuale è ridotto, ma non è ascrivibile a una situazione di vita che si sta affrontando in quel determinato periodo: la strategia di autoprotezione più comune nei pazienti è il non andare alla ricerca della partner per consumare un rapporto sessuale. Anche questo tipo di paziente, tuttavia, nel corso della notte ha delle erezioni spontanee nel corso della cosiddetta fase REM, ogni circa 90 minuti, e al pari di un soggetto in buona salute, ha delle erezioni anche la mattina, al risveglio: la differenza sostanziale consiste nella differente qualità erettiva che, a causa del problema fisico, è chiaramente minore.

Un altro indizio che indirizza il disturbo verso una forma organica è l’assenza di una buona risposta durante la masturbazione – una normale forma di autoerotismo comune con una percentuale di pratica elevatissima – come ad esempio l’eiaculazione a pene semi-eretto o addirittura flaccido. Una mancanza di erezione, ma un’attività masturbatoria che induce all’eiaculazione è, in molti casi, un indice che qualcosa a livello organico potrebbe non essere corretto.
Nei pazienti con disturbo erettile di natura psicologica, l’esordio del problema è più acuto, spesso reattivo, relazionale o situazionale: ciò vuol dire che un individuo con un’abituale erezione corretta all’improvviso si ritrova ad avere difficoltà nella produzione o nel mantenimento dell’erezione. Una situazione che è usualmente reattiva a una circostanza di vita particolarmente difficile: la perdita del lavoro, un lutto in famiglia, la separazione, ecc. Ma anche relazionale: ad esempio, un individuo che sino a quel momento aveva condotto una vita sessuale positiva con una partner, si ritrova catapultato nel problema all’approccio sessuale con una nuova partner. La disfunzione è anche situazionale, ossia legata alla situazione o al luogo.


Nei soggetti con ansia da prestazione il desiderio sessuale è normale o ridotto: nelle prime fasi, il paziente vorrebbe consumare un atto penetrativo, ma l’assistere alle proprie defaillance gli riduce la possibilità di eseguirlo, perché la paura di fallire nel compimento del rapporto sovrasta di gran lunga il desiderio. La paura del cattivo giudizio da parte della propria partner e il timore delle considerazioni negative sul proprio conto portano il paziente ad autosqualificarsi ed ipergeneralizzare le situazioni di insuccesso sessuale: l’evitamento del rapporto previene l’eventualità di rivivere un nuovo fallimento.
D’altro canto, questa tipologia di paziente ha una buona risposta alle erezioni notturne o mattutine spontanee: ciò si spiega facilmente col fatto che i soggetti con ansia da prestazione psicologica hanno difficoltà a produrre o mantenere l’erezione esclusivamente nel momento effettivo in cui è possibile consumare un rapporto. Questo accade perché di notte o al risveglio non è richiesto un atto sessuale concreto: il soggetto è tranquillo. Anche l’eiaculazione conseguente alla masturbazione, perciò, è qualitativamente normale e l’orgasmo è corretto con un pene in completa erezione.


L’andamento della disfunzione erettile psicologica può essere ricorrente o episodico, avviene ogni qualvolta il paziente si ritrovi nell’opportunità di vivere un atto sessuale con la propria partner, sospinto dal tormento cognitivo imponente del “Devo avere un’erezione!”. Paradossalmente questo schema di pensiero gli sta predisponendo la strada a una non erezione e, dunque, alla defaillance: chi si autoimpone qualcosa in realtà è teso perché ha paura di non essere in grado di conseguirla.


In termini generali e comuni, i soggetti caratterialmente ansiosi hanno più probabilità di essere vittime di disturbi d’ansia da prestazione sessuale: la condizione di stress psicologico, infatti, incide negativamente sulla qualità erettiva, sfociando talvolta nei sintomi depressivi in virtù dei quali il paziente comincerà a rifersi al destino, rispetto a se stesso, come un’inadeguato sessualmente e, di riflesso, anche socialmente.
Per il trattamento della disfunzione erettile di natura organica, negli individui con altre malattie fisiche o più avanti con l’età, esistono vari tipi di farmaci utili, tra i quali i più comuni sono: il viagra, il cialis, il levitra, il vivanza e lo spedra. Nei soggetti con disturbi d’ansia da prestazione di forma psicologica, invece, il trattamento farmacologico non serve.


Ma non solo i vantaggi apportati, occorre pure considerare gli effetti collaterali che questi medicinali comportano, che in diversi casi superano quelli positivi; tra questi: la cefalea, i disturbi visivi, i rash cutanei, le vertigini, l’arrossamento e la nausea. Si tratta di farmaci vasodilatatori, ovvero esercitanti un’azione di rilassamento nei confronti dei muscoli dei vasi sanguigni comportando la conseguente dilatazione degli stessi. Essi, tuttavia, provocano degli effetti collaterali significativi a livello cardiaco e cardiocircolatorio: in particolare, l’aumento innaturale del battito cardiaco.


Le esperienze terapeutiche in studio dimostrano che la quasi totalità dei pazienti con ansia da prestazione non abbia ricavato alcun beneficio significativo dall’utilizzo di questi farmaci, cioè non è stata ugualmente in grado di produrre l’erezione. Ciò si spiega col fatto che la produzione erettiva è un qualcosa che parte dal cervello, cioè il soggetto deve essere eccitato. Ma se i pensieri del paziente sono altamente negativi e, dunque, preludi di fallimento nella performance, pur assumendo i vasodilatatori, non riuscirà a produrre un’erezione utile e di qualità per poter portare avanti un atto penetrativo: i soggetti con ansia da prestazione, infatti, raccontano in studio che in alcuni casi l’assunzione del farmaco non abbia mutato lo stato flaccido del pene e in altri casi abbia prodotto un indurimento che non era di consistenza tale da garantire l’approccio efficace alla penetrazione.

È necessario, a questo punto, demitizzare le (false) credenze su questa tipologia di farmaci; si legge sul foglio illustrativo: “Il farmaco non può sostituirsi a uno stimolo erogeno né trasformare in erogeno uno stimolo che non lo è”. L’erezione è una conseguenza diretta dell’eccitazione: nel paziente che non riesce ad eccitarsi per diversi motivi (dal luogo alla situazione, alla mancanza di attrazione dalla partner) la somministrazione del vasodilatatore non gli produce affatto l’eccitazione. L’erezione è innanzitutto un fatto psicologico che si avvia nel cervello: per poterla produrre in modo efficace è necessario che ci sia un corretto funzionamento e delle condizioni adeguate già a monte, a livello di pensieri. Eccezion fatta per quelle spontanee, le altre erezioni dipendono da questi fattori: il paziente deve rimuovere quei pensieri disfunzionali che generano paura e/o tristezza, effettuando dei pensieri giusti che facilitano naturalmente l’eccitazione e la produzione dell’erezione.


Un altro aspetto su cui riflettere è dato dal fatto che non ha senso fare uso del farmaco in presenza di una funzionalità d’organo normale: il paziente che ha delle erezioni spontanee corrette durante la notte o al risveglio mattutino e adeguate nel momento in cui pratica l’autoerotismo, non necessita assolutamente di fare ricorso ai vasodilatatori, in quanto è questa la prova evidente che il problema è di natura psicologica: la discriminante, nell’approccio al rapporto sessuale, è il fatto di non essere da solo, ma in presenza di una donna, il che gli produce pensieri di natura completamente diversa rispetto al momento solitario della masturbazione.
I pensieri più comuni che generano tristemente la disfunzione erettile sono del tipo “Non riuscirò ad avere l’erezione”, “Non riuscirò a penetrarla”, “Non riuscirò a soddisfarla”, “Anche questa volta sarà un fallimento”, “Farò una brutta figura”, “Non vorrà più incontrarmi”, “Mi sentirò incapace sessualmente”, “La mia vita è destinata a non essere soddisfacente dal punto di vista sessuale”, “Non riuscirò mai ad avere un rapporto sessuale”, “La mia vita in questo modo è inutile”: si tratta di pensieri dicotomici e catastrofici, frutto di errori cognitivi che inducono il soggetto a demoralizzarsi e ad autosqualificarsi rispetto alla vita sessuale.


Ci sono delle condizioni particolari che tendono a generare l’ansia da prestazione sessuale e, di conseguenza, la disfunzione erettile di natura psicogena: oltre all’ansia di cui si è già fatta ampia menzione, rilevanti sono gli stili di vita negativi, i conflitti familiari (rancore, tristezza, paura, rabbia incidono avversi sulla qualità erettiva), i conflitti relazionali (rabbia e risentimento annullano l’attrazione verso la partner oppure la paura di una defaillance lo indurrà all’evitamento della situazione d’intimità) e i problemi d’infedeltà (il senso di colpa potrebbe indurre il soggetto a non produrre l’erezione e a consumare il rapporto con una donna che non è la propria partner o, al contrario, il ricordo di essere stati traditi produce umiliazione e rancore, che a loro volta influiscono sulla mancata erezione nei riguardi di una donna che è stata infedele). Quest’ultimo fatto, ovvero l’essere stato vittima di un tradimento, potrebbe far scaturire nel soggetto l’errore cognitivo dell’ipergeneralizzazione, in base al quale si dà una reputazione squalificante su tutte le donne, cioè sono tutte traditrici, e autosqualificante sulla propria condizione, cioè si è un uomo tradito sempre.


L’erezione può essere attivata secondo tre modalità:
Erezione riflessogena. È quella generata da stimoli tattili sui genitali: gli stimoli raggiungono il centro erettivo spinale [S2-S4], da cui partono le fibre vasodilatatrici parasimpatiche dirette al pene, chiamate “nervi erigendi”. Di questi stimoli, alcuni seguono il tratto spinotalamico e danno luogo alla percezione cosciente dello stimolo tattile; altri, invece, attivano il nucleo autonomico che induce la liberazione dei neurotrasmettitori responsabili dell’attivazione dell’erezione. Dunque, l’erezione è come un riflesso al tatto, all’essere toccati.


Erezioni notturne. Sono quelle spontanee attivate dal nucleo erettogeno del sistema nervoso centrale, che si presentano nella fase REM o al risveglio mattutino. Esse sono indicatori della qualità fisica e biologica del paziente.
Erezione psicogena. È attivata da stimoli audiovisivi, olfattivi o da fantasia: i segnali provenienti dalla corteccia visiva, uditiva, olfattiva discendono fino ai centri spinali D10-L2 per attivare l’erezione. “Psicogena”, cioè generata dalla mente, indica lo stimolo cognitivo (di pensiero) ed emotivo (di emozione), ha genesi intrapsichica (di fantasia) o relazionale (legato allo stimolo positivo dalla visione o dai profumi della propria partner).
Un metodo efficace e discriminante per riconoscere, in studio, un paziente con ansia da prestazione sessuale e con problema di disfunzione erettile di natura psicogena consiste nel chiedergli direttamente se, nel momento in cui si trova da solo a effettuare fantasie erotiche o a visionare materiali audiovisivi erotici, l’erezione compaia. Dinanzi a tale richiesta esplicita, il paziente generalmente sorride confermando il contenuto della domanda: è un soggetto che, in solitaria con la propria intimità, non deve dimostrare niente a nessuno, per cui è sessualmente normale, coi propri desideri, pulsioni e bisogni, con erezione corretta e con orgasmo con eiaculazione adeguato.

 

2. ANSIA DA PRESTAZIONE e PROBLEMI DI EREZIONE

Con ansia da prestazione ci si riferisce fondamentalmente alla disfunzione erettile, ovvero alla difficoltà del soggetto a produrre e/o a mantenere un’erezione soddisfacente per poter portare avanti un rapporto sessuale.
Appurata, attraverso controlli clinici, la natura psicogena del problema, il trattamento elettivo per la cura è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che va ad intervenire sui pensieri di inadeguatezza e di autosqualificazione che il paziente pone in essere nel momento in cui gli si prospetta la possibilità concreta di consumare una performance sessuale con la propria partner. Si tratta, infatti, di pazienti che, da soli, durante la pratica masturbatoria (attraverso stimolazione immaginativa o materiale audio-visivo) o le erezioni spontanee notturne o mattutine, non presentano alcun tipo di disfunzione erettile, proprio in virtù del fatto che non è richiesto loro un rapporto d’intimità con una donna e, pertanto, sono sereni con se stessi e coi propri schemi cognitivi.

In una situazione di contatto con la propria partner che porterebbe al rapporto, invece, s’innescano, a livello cognitivo, degli schemi di pensiero che, nella maggior parte dei casi, presentano gli stessi contenuti: il soggetto già si prospetta il triste scenario di non essere in grado di produrre l’erezione e ha paura di fallire per l’ennesima volta, incappando in una brutta figura e nell’eventuale giudizio negativo da parte dell’altra persona (immaginare quel che succederà è la categoria d’errore cognitivo del “riferimento al destino”, cui s’interseca in questo caso anche un altro errore di pensiero, la “catastrofizzazione”).
Uno dei primi strumenti forniti dal trattamento cognitivo-comportamentale è quello fondamentale a comprendere il proprio funzionamento mentale, cognitivo, emotivo e comportamentale, il cosiddetto “Modello ABCD”. Si tratta di una tecnica usata per consapevolizzare il paziente di come i suoi pensieri di interpretazione degli eventi che avvengono in una determinata situazione reale o dei ricordi, scaturiscano le emozioni di base (gioia, sorpresa, paura, tristezza, rabbia, disgusto) che prova.

È un modello “ABCD” a quattro colonne congiunte da frecce consequenziali, in cui la colonna di “A” sta ad indicare la situazione (“Che cosa è successo?”), la “B” indica i pensieri (“Che cosa ho pensato?”), la “C” indica i sintomi e le espressioni fisiche, ovvero la reazione emotiva (“Come mi sono sentito?”), la “D” indica la condotta (“Che cosa ho fatto?”).
Alla domanda del terapeuta “Qual è il tuo problema?” il paziente generalmente risponde che il suo problema è “A” e racconta il fatto che gli è successo, cioè di non essere stato in grado di avere l’erezione in presenza della partner e della conseguente impossibilità a penetrarla. In altri casi, il paziente risponde che il suo disturbo è legato a “C” esponendo la propria intensità d’ansia, l’agitazione psico-motoria, il senso di inadeguatezza, i sintomi fisici (tremore, tachicardia, senso di soffocamento, rigidità, senso di confusione, ecc..).

Un terzo gruppo di pazienti, fatta l’autoanalisi, approda alla conclusione che il problema è “AC”, ossia nella relazione consequenziale tra quanto successo e come ci si è sentiti a livello fisico: raccontano di essersi trovati in presenza della propria partner sessuale e di aver avvertito un particolare grado elevato d’ansia e di aver mancato l’erezione.
In realtà in nessuna di queste tre possibilità prospettate dall’autoanalisi del soggetto in terapia esiste il problema del paziente, inteso come la causa del disturbo su cui intervenire per procedere al recupero normalizzato della propria funzionalità erettile. Il vero problema, com’è logica comune, non è nè la situazione in cui ci si trova nel momento di consumare un rapporto sessuale né la sensazione d’ansia provata o la mancata erezione: per curare il disturbo d’ansia da prestazione di natura psicologica bisogna intervenire sulla sua causa reale, cioè sui pensieri disfunzionali e distorti del paziente, il quale non ha pertanto bisogno di ricorrere ai farmaci vasodilatatori (come il viagra o il cialis). In qualsiasi situazione in cui ci si approssima ad avere il rapporto d’intimità, dunque, è “B” a determinare “C”: i pensieri producono gli effetti di ansia e le manifestazioni fisiche ad essa affini e, di conseguenza, la mancanza di erezione (che è una conseguenza!). Se i pensieri vengono corretti e ristrutturati, anche sintomi emotivi saranno differenti.


Alcuni pazienti raccontano in studio di problemi d’erezione con uno strano andamento, nel senso che con alcune partner sessuali riescono ad avere un’erezione e a procedere col rapporto, mentre con altre non sono in grado di produrre l’erezione e di consumare una performance. Una situazione del genere può caratterizzare, ad esempio, l’esperienza di un uomo separatosi da poco dalla moglie, dalla compagna o dalla fidanzata e che, dopo una vita matrimoniale, di convivenza o di fidanzamento con una vita sessuale attiva e soddisfacente, non riesce ad avere una normale funzionalità erettile in presenza di una nuova partner sessuale. Alla base di questo episodio increscioso vi è, oltre al cambiamento della situazione (si tratta di una donna diversa dalla propria ex moglie/compagna/fidanzata), soprattutto il mutamento di pensiero nell’approccio al rapporto intimo: alla complicità, alla certezza e alla confidenza abituale con la vecchia partner ora vi subentrano dei dubbi e la paura di non esserne all’altezza, da cui la mancata eccitazione per carenza di rilassamento e serenità. Emozioni negative quali paura e tristezza, dunque, non consentono al soggetto di produrre l’erezione. Soltanto comprendendo le dinamiche cognitive che assicurano una corretta funzionalità erettile si può curare il problema: risolvendo la causa-pensiero si risolverà anche il sintomo/emozione/condotta-conseguenza.


Per cogliere ed approfondire al meglio l’utilità dello strumento tecnico fornito dalla terapia cognitivo-comportamentale, si propone di seguito una situazione emblematica rappresentativa del “Modello ABCD”:
A. Mi trovo nel mio letto di notte quando sento un rumore alla finestra.
B. Penso che siano i ladri.
C. Ho paura.
D. Chiedo aiuto, chiamo i carabinieri, accendo le luci.


È utile rimarcare il fatto che la reazione emotiva sia una conseguenza diretta dei pensieri del paziente e non di ciò che è successo: il pensiero è il fulcro di tutto ed è alla base della crisi d’ansia.
Ritornando al nostro argomento principale, ovvero l’ansia da prestazione, si può ricorrere a un esempio particolarmente estremo quanto esplicativo: si può immaginare che il soggetto si ritrovi ad avere la donna più bella del mondo nuda e che non aspetta altro che essere posseduta sessualmente dallo stesso in una circostanza particolare, ovvero in piedi sul cancello di una villa; a questo punto, dinanzi alla possibilità concreta di consumare il rapporto, si può aggiungere nell’immaginario la presenza di un cane, un pastore tedesco, che dall’interno della villa, tra una sbarra e l’altra del cancello, abbaia e ringhia contro di loro a poca distanza. Dinanzi alla ferocia sbizzarrita del cane, i pensieri che il soggetto fa sono di paura: la presenza di questo stato psicologico ed emotivo – in qualsiasi tipo di situazione, anche meno estrema e normale – non è ideale per eccitarsi, pertanto egli sarà impossibilitato a produrre l’erezione, nonostante l’occasione di poter essere in intimità con la donna più bella del mondo.


La paura, infatti, può essere generata anche in contesti più semplici di questo: a letto, ad esempio, quando il paziente mette in circolo un flusso di pensieri altamente autosqualificanti circa la propria incapacità di riuscire a soddisfare sessualmente la propria partner. Si tratta di una concatenazione cognitiva sorretta dal comunissimo errore di pensiero del ragionamento emotivo, la cui logica di funzionamento sbagliata si poggia sulla considerazione che “dato che mi sento così ansioso/agitato/impaurito/triste, allora è vero che non riuscirò ad avere un’erezione”: questa illogicità induce generalmente all’allontanamento dalla situazione o, addirittura, all’evitamento della stessa, cioè a prevenire una defaillance prospettata come certa evitando di esporsi allla possibilità di consumare un rapporto sessuale.


Chiunque, in presenza di una situazione interna di ansia dovuta ad una situazione esterna di tristezza, non sarebbe in grado di vivere con serenità, fatto che si amplifica in certi tipi di contesti particolarmente intimi. Il consiglio per comprendere al meglio il meccanismo del funzionamento mentale, e per avviarsi a modificarlo, è di procedere alla compilazione di vari schemi di “Modelli ABCD” sulle esperienze pregresse in cui si è sofferto il problema della disfunzione erettile. Ci si accorgerà, così facendo, che c’è una sorta di legge costante dietro ogni tipo di fallimento sessuale: ogni qualvolta si presenti in “C” (come mi sento?) emozioni negative come paura e tristezza, in “B” ci sarà stato un errore di pensiero quale causa scatenante dello stato emotivo. Il paziente, riconoscendo il proprio modo di sbagliare in “B” e ristrutturandolo cognitivamente con pensieri corretti e funzionali, ritornerà ad avere in “C” una conseguente emozione positiva: così che la situazione d’intimità con la propria partner ritornerà ad essere un momento di gioia e d’amore, senza alcun tipo di paura, tristezza o ansia.


Se provassimo a chiederci, allora, in quanti modi la mente umana può sbagliare, saremmo tentati di rispondere in infiniti modi a seconda delle circostanze. In realtà la mente può sbagliare in dodici modi diversi perché altrettante sono le categorie d’errore: pensiero dicotomico, ipergeneralizzazione, astrazione selettiva, squalificazione del lato positivo, lettura del pensiero, riferimento al destino, catastrofizzazione, minimizzazione, ragionamento emotivo, doverizzazione, etichettamento, personalizzazione. Tali categorie sono identificabili attraverso la colonna “B” del suddetto modello, in base alla quale sono specificati i pensieri disfunzionali che il paziente pone in essere. Conoscerle vuol dire correggerle e prevenirle. Di seguito, la lista completa con le definizioni e con annesse analogie del problema preso in esame con il disturbo d’ansia e d’attacchi di panico:
Pensiero dicotomico: le cose sono viste in termini di categorie mutualmente escludentisi senza gradi intermedi. Ad esempio, una situazione o è un successo oppure è un fallimento; se una situazione non è proprio perfetta allora è un completo fallimento. Cioè le situazioni sono lette in modo estremo e non nella giusta misura: “O tutto o nulla”. Concretamente, uno studente che ha conseguito un esame con l’ottima valutazione di 27/30 potrebbe avere una concezione fallimentare della sua prova in quanto non superata col voto massimo di 30/30 prefissato come obiettivo da raggiungere. Nel nostro caso: o si riesce ad avere un’erezione soddisfacente e una performance corretta, oppure le carezze e gli abbracci con la partner non sono affatto degni di alcun valore; o si deve avere un approccio sessuale finalizzato alla penetrazione, oppure se così non fosse l’incontro con la donna non varrebbe nulla e, di conseguenza, tanto varrebbe evitarlo.

Ipergeneralizzazione: uno specifico evento è visto come essere caratteristica di vita in generale piuttosto che come essere un evento fra tanti. Ad esempio, concludere che se qualcuno ha mostrato un atteggiamento sconsiderato in un’occasione, non considera poi le altre situazioni in cui ha avuto atteggiamenti più opportuni. È “fare di tutta l’erba un fascio” perché qualcosa è successo in passato e dunque succederà sempre in futuro, secondo una credenza disfunzionale. Si tratta, infatti, di una categoria di errore particolarmente frequente nel paziente con attacchi di panico, soprattutto in quelle situazioni in cui subentra un disturbo di agorafobia: ovvero, il paziente che in una certa situazione è stato male (ad esempio in un ufficio bancario), non penserà che sia stato un caso, ma tenderà a generalizzare (su quello e poi su tutti gli uffici bancari), cominciando a credere e a temere che, esponendosi in futuro alla stessa situazione, possa nuovamente essere vittima di crisi. Da ciò l’ansia anticipatoria e l’assurdo logico dell’evitamento (eviterà di ritornare negli uffici bancari).

Evitando la situazione-causa della crisi, però, il problema si accentua in virtù di schemi di pensiero ipergeneralizzanti. A maggior ragione bisogna cogliere, invece, che la causa dei problemi di crisi di panico non è da ricercare in ciò che è successo (“A”), ma in ciò che si è pensato (“B”), cioè nell’idea costruita su determinati luoghi e situazioni. Nel nostro caso specifico, il paziente ipergeneralizzante penserà che non essendo riuscito in passato ad avere un’erezione e, dunque, un rapporto sessuale, allora non sarà in grado di produrla neppure in occasioni presenti o future: da ciò la tristezza e la paura.

Astrazione selettiva: un aspetto di una situazione complessa è il focus dell’attenzione e altri aspetti rilevanti della situazione sono ignorati. Ad esempio, focalizzare un commento negativo in un giudizio sul proprio lavoro trascurando altri aspetti positivi. È vedere il “bicchiere mezzo vuoto”: il paziente è portato a selezionare/evidenziare esclusivamente l’aspetto negativo della situazione e ad astrarre/cancellare tutto il resto. Il paziente con attacco di panico compie quest’errore nell’astrarre il fatto che non sia svenuto nel corso della crisi, amplificandone invece la sensazione di sbandamento, di soffocamento e di giramento di testa, concentrandosi soltanto e unicamente su questi aspetti negativi. Nel nostro caso, il paziente avrà potuto astrarre il fatto che avesse potuto godere della vicinanza fisica, delle carezze e degli abbracci della partner, anziché focalizzarsi sull’episodio di non aver avuto un rapporto sessuale pratico: questo pensiero ha screditato la bontà della serata vissuta con la donna.

Squalificazione del lato positivo: le esperienze positive che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate sostenendo che non contano. Ad esempio, non credere ai commenti positivi degli amici e colleghi dubitando che dicano ciò solo per gentilezza. In sintesi: “Ciò non conta nulla, conta di più…”. In termini concreti, un paziente che abbia intrapreso un percorso di psicoterapia tende a squalificare i primi risultati ottenuti in virtù di quelli mancanti per conseguire il successo definitivo. Attraverso quest’ultimo esempio è possibile rilevare, inoltre, come gli errori cognitivi possano sommarsi e intersecarsi fra loro: si può notare, infatti, la compresenza della categoria d’errore del pensiero dicotomico (“O tutto, o nulla”). Nel nostro caso, il paziente penserà che non conta nulla se abbia trascorso una bella serata, conta di più che non sia riuscito ad avere una performance sessuale con la partner: un fatto che, spesso, porta ad interrompere una frequentazione per paura o ansia di scoprirsi in intimità con quella donna, che avrebbe potuto giudicarlo negativamente in caso di fallimento nel rapporto. È una strategia di autodifesa che, al contrario, palesa la propria sconfitta.

Lettura del pensiero: le persone sostengono che altri individui stanno reagendo negativamente senza alcuna prova evidente di ciò che affermano. Ad esempio, affermare di sapere che l’altro pensa di sé negativamente anche contro la rassicurazione di quest’ultimo. È il classico pensiero del “Ti ho già capito”. Questa categoria è riscontrabile frequentemente nel disturbo di ansia sociale, dove il soggetto ansante interpreta il giudizio altrui in modo del tutto negativo, nel senso che si dice in grado di conoscere già cosa l’altro pensa di negativo di sé: se lo vedessero in preda a una crisi – immagina il paziente – lo reputerebbero stupido e/o malato, anziché immaginare invece che, qualore il malore fosse evidente, sarebbero pronti a dargli soccorso senza alcun tipo di valutazione avversa sulla sua persona. Non è detto, inoltre, che le altre persone si accorgano del disagio di chi è vittima di crisi di panico: la percezione degli altri, infatti, è di gran lunga inferiore rispetto a quello che il paziente stesso crede. Nessuno può riconoscere cosa pensa l’altro, motivo per cui bisogna evitare l’evitamento di una situazione nel corso della quale, si pensa, si potrebbe essere soggetti al giudizio negativo degli altri. Se il paziente supera questo tipo di errore cognitivo, è in grado di fronteggiare con più capacità qualunque situazione.

Nel nostro caso, il soggetto con ansia da prestazione avrà sicuramente più volte avuto paura di ciò che la partner avrebbe potuto pensare sul proprio conto, ancor prima di ritrovarsi a vivere una situazione di penetrazione o un episodio di defaillance effettivo per mancata erezione. Ristrutturando questo errore, ci si accorge che non sono gli altri a fare cattivi pensieri su di sé, bensì è il paziente stesso a prospettarsi scenari negativi e, dunque, schemi cognitivi errati e disfunzionali.

Riferimento al destino: l’individuo reagisce come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano fatti stabiliti. Ad esempio, il pensare che qualcuno lo abbandonerà e che lo sa già, e agire come se ciò fosse vero. È il paziente che guarda al futuro col pensiero del “Lo so già”. È ovvio e naturale che se il paziente con attacchi di panico pensa di sé che starà male in determinati luoghi o situazioni, si sta già predisponendo alla costruzione distorta e disfunzionale della reazione emotiva dello stare male. A ciò subentra l’altro errore di strategia conseguente, quello dell’evitamento di luoghi e situazioni per prevenire la crisi. Un esempio emblematico di disturbo collegato è l’ansia da gioco d’azzardo: il paziente-giocatore pensa di sapere già che la prossima giocata sarà vincente e per questo proverà gioia e contentezza portando avanti la sua condotta, ovverò giocherà. Le risposte emotiva e comportamentale, secondo il “Modello ABCD”, sono una conseguenza di ciò che si pensa. Nel nostro caso, il paziente avrà avuto pensieri del tipo: “Lo so già che stasera non riuscirò ad avere l’erezione e a proseguire con la penetrazione, per questo lei penserà cose brutte su di me e io mi sentirò un fallimento”. Tutto ciò produce tristezza e paura su quanto andrà ad accadere, ma in realtà ciò non è pronosticabile su basi certe: non si è dotati di una sfera di cristallo che preveda fatti futuri.

Catastrofizzazione: gli eventi negativi che possono capitare sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti nella giusta prospettiva. Ad esempio, il disperarsi dopo una brutta figura come se fosse una catastrofe terribile e non come una situazione semplicemente imbarazzante e spiacevole. Un errore basato sul concetto di “È terribile se…”: il paziente con attacchi di panico comincia a sovradimensionare le situazioni e a vedere le situazioni temute come estremamente terribili. Un ragionamento funzionale considererebbe spiacevole il sentirsi male, ma non lo catastrofizzerebbe a terribile. Ipergeneralizzazione, riferimento al destino e catastrofizzazione sono tra gli errori più frequenti nei pazienti con ansia e attacchi di panico: si intersecano tra loro in quanto la persona filtra la realtà attraverso queste categorie di errori cognitivi. Nella maggior parte dei casi la strategia che il paziente usa per proteggersi è quella sbagliata dell’evitamento della situazione, da cui scaturiscono altri evitamenti, sino alla condizione agorafobica estrema di chiusura totale al mondo sociale, con cui la persona finisce per segregarsi nella propria casa vista come esclusiva base sicura. È l’incipit della depressione reattiva, intesa come conseguenza della condizione psico-fisica di chiusura e di privazione cui il paziente si è autocondannato con le proprie credenze sbagliate. Nel nostro caso, la catastrofizzazione si verifica nel paziente ancor prima di vivere la situazione d’approccio sessuale con pensieri illogici, quali: “Non riuscirò ad avere un’erezione/Non riuscirò a penetrarla/Non riuscirò ad avere un rapporto sessuale e tutto questo sarà terribile e catastrofico!”. Bisogna correggere quest’errore cognitivo perché un fatto del genere è tutt’altro che terribile o catastrofico: si può rimediare con serenità andando a ristrutturare la causa primaria di tutto, ovvero i pensieri disfunzionali.

Minimizzazione: le esperienze e le situazioni positive sono trattate come reali ma insignificanti. Ad esempio, il pensare che in una cosa si è positivi ma che essa non conta in confronto ad un’altra più importante, secondo la logica del “Niente conta veramente di quello che faccio”. È una categoria d’errore simile all’astrazione selettiva e al disfacimento del lato positivo. Il paziente tende a minimizzare sui piccoli miglioramenti di inizio terapia, scoraggiandosi, ricadendo anche in questo caso nell’errore del pensiero dicotomico. Nel nostro caso, il paziente potrebbe essere consapevole di aver fatto una buona conversazione e di aver creato confidenza e simpatia, ma arriverebbe a minimizzare il tutto pensando poi che tutto ciò non conta assolutamente niente se, a queste carinerie, non è stato in grado di dare seguito attraverso una performance sessuale soddisfacente. Questo schema cognitivo, come negli altri casi, è fonte di paura, di tristezza e, tanto spesso, di evitamento della situazione.

Ragionamento emotivo: considerare le reazioni emotive come reazioni strettamente attendibili della situazione reale. Ad esempio, decidere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. Un assurdo logico basato sul pensiero che “Se mi sento così (es: triste), allora è vero (che la situazione è negativa)”. Un uomo che la domenica gioca una schedina ha in mano quella vincente, perché se si sente felice, allora è vero che la combinazione di risultati pronosticati è quella esatta. È l’ansia da gioco d’azzardo: se infatti una persona si sentisse triste perché conscio che anche la successiva giocata sarà perdente, non rigiocherebbe affatto. Purtroppo i giocatori basano i propri pensieri sul ragionamento emotivo di sentirsi felici in virtù di una prossima giocata vincente, proseguendo nella propria condotta di gioco e pregustando la vittoria. Nel paziente con attacchi di panico questa categoria di errore si struttura nel seguente modo: “Dato che mi sento ansioso, allora è vero che entrando nel bar mi sentirò male”. È un altro esempio tipico di ansia anticipatoria: è evidente come non sia il luogo o la situazione a far star male il paziente, bensì il pensiero che si orienta ad anticipare un futuro malessere (riferimento al destino e catastrofizzazione). Nel nostro caso, il paziente generalmente pone in essere un certo tipo di pensiero in base al quale “Dato che mi sento triste e spaventato, allora è vero che non riuscirò ad avere un’erezione”: lo stato emotivo è, pertanto, dato come prova (errata) dell’incapacità a produrre una funzionalità erettile corretta. Ragionare con le emozioni è, in questo caso specifico, un inganno da cui tenersi lontani

Doverizzazione: l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”, “si deve”, ecc… per assicurare la necessaria motivazione e il controllo al comportamento. Ad esempio, il pensare che un amico deve stimarci, perché bisogna stimare gli amici. Chi compie tale errore si basa sui concetti di “devo…”, “si dovrebbe…”, “gli altri devono…”. In questa categoria vi è, da parte del paziente, la percezione del dovere della sua condotta e della doverizzazione degli altri nei suoi confronti: ogni volta che ci s’impone di fare qualcosa o ci si aspetta qualcosa da altri, si sta male perché il senso di costrizione per sé nei confronti degli altri (“devo fare”) o per gli altri nei confronti di sè (“gli altri devono fare”) induce a un’emozione negativa (delusione, tristezza, rabbia). Se si correggessero da “B” tali pensieri di doverizzazione, si avrebbero delle ripercussioni positive su “C”, ovvero sullo stato d’animo del paziente, evitando emozioni negative. Nel nostro caso, ogni qualvolta il paziente abbia pensato di dover avere un’erezione, di doverla penetrale, di doverla soddisfare, di dover avere una vita sessuale normale, non ha fatto altro che innescare e alimentare i meccanismi di paura perché, rispetto al senso di dovere, egli aveva timore di non riuscire: motivo per cui non si avrà l’erezione. Bisogna modificare la struttura di pensiero da “io devo” a “io posso/io voglio”: cioè si può rimediare al problema perché si vuol farlo.

Etichettamento: attaccare un’etichetta globale a qualcuno piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni (“È un”). Ad esempio, il pensare che si è un fallimento piuttosto che si è inadatti a fare una certa cosa. Questo errore induce a dare delle etichette globali a qualcuno o qualcosa che risultano limitanti e riduttive nella percezione di questi qualcuno o qualcosa. Se un paziente con attacchi di panico si autoetichetta rispetto all’inadeguatezza di frequentare un certo luogo o all’incapacità di esporsi a una certa situazione, si autoprovoca un’emozione negativa alimentando il disturbo ed eludendo ogni forma di reazione (al flusso di pensiero si aggiungono gli errori del riferimento al destino e della catastrofizzazione: “Lo so già di non essere in grado, e questo è terribile”). Nel nostro caso, il paziente con difficoltà erettile e con difficoltà conseguente a portare avanti un atto di penetrazione si sarà autoetichettato come un fallimento: questa forma autosqualificante è alla base dell’emozione di paura che impedisce l’erezione.

Personalizzazione: assumere che una è la causa di un particolare evento quando nei fatti sono responsabili altri fattori. Ad esempio, considerare che una momentanea assenza di amicizie è il riflesso della propria inadeguatezza piuttosto che un caso, addossandosi ogni colpa (“È colpa mia se…”). Una personalizzazione del paziente rispetto alla propria condizione (cioè addossarsi ogni tipo di colpa), gli comporterebbe come conseguenza un’emozione negativa. Un paziente con attacchi di panico che guarisce in seguito ad una terapia cognitivo-comportamentale, penserà che “È colpa mia se sono stato male”, ma in realtà la colpa non è sua, in quanto prima delle sedute terapeutiche non poteva essere in possesso delle competenze e degli strumenti che gli avrebbero garantito una più celere risoluzione. Nel nostro caso, il soggetto col problema d’ansia di prestazione tende ad attribuire a se stesso la causa del disturbo, della mancata erezione, dell’incapacità di soddisfare la donna, del non essere in grado di penetrarla e di avere un rapporto sessuale adeguato. La psicoterapia cognitivo-comportamentale insegna che la colpa è dei pensieri e della normale mancanza di conoscenza scientifica, da parte del soggetto, circa il funzionamento della propria mente.

 

3. ANSIA DA PRESTAZIONE e PROBLEMI DI EREZIONE

Il disturbo di ansia da prestazione, come ribadito in precedenza, ha come conseguenza il problema della disfunzione erettile. I pazienti per lungo tempo hanno creduto che bisognasse intervenire sulla mancanza di erezione per risolverla attraverso il ricorso a farmaci vasodilatatori (quali il viagra e il cialis), non ricavandone alcun effetto benefico. Grazie alla psicoterapia cognitivo-comportamentale, che è il trattamento elettivo per la forma psicogena del problema, ci si consapevolizza che in realtà quanto accade è una conseguenza diretta dei pensieri disfunzionali che il soggetto fa e che gli generano ansia e preoccupazione, pertanto va curato e ristrutturato lo schema cognitivo, null’altro. Causa unica sono, pertanto, quei pensieri distorti che s’instaurano nella mente nel paziente in prossimità effettiva del rapporto sessuale e che, mettendo in circolo un meccanismo di ansia disfunzionale, lo inducono al fallimento o, addirittura, all’evitamento della performance per il timore di fare brutte figure e di ricevere cattivi giudizi dalla partner.


La mente umana può sbagliare secondo 12 categorie di errori cognitivi. Di seguito, un’elencazione di errori in pratica, esperiti durante le sedute di psicoterapia, posti in essere dal paziente con ansia da prestazione relativamente alla propria capacità di portare avanti un rapporto sessuale soddisfacente, producendo un’erezione corretta e penetrando la partner:
Con l’errore cognitivo del pensiero dicotomico, secondo cui le cose sono viste in termini di categorie mutualmente escludentisi, il paziente potrebbe pensare: “Se non riesco ad avere un’erezione e un rapporto sessuale, la mia vita non è degna di essere vissuta”. È un ragionamento per estremi e opposti, o tutto o nulla.

Si può confutare il pensiero del paziente evidenziando il fatto che un uomo con una vita sessuale soddisfacente non è automaticamente scontato che conduca un’esistenza generale di rose e fiori: la discriminante che garantisce qualità e felicità al proprio vissuto non è dato assolutamente dalla capacità o meno di fare sesso esauriente o di avere un’erezione; questi sono aspetti rimediabili e migliorabili che contribuiscono, con la giusta relatività, alla qualificazione positiva e alla dignità della propria vita.


Altro esempio di pensiero dicotomico: “Se devo farlo senza erezione, non ci provo neanche”. È una forma cognitiva sbagliata che in tanti casi, purtroppo, induce il paziente ad evitare la frequentazione di amiche e di donne per paura di mancare nell’erezione al momento di approccio concreto all’eventuale rapporto sessuale che ne sarebbe potuto scaturire. Il soggetto è pervaso dal pensiero che un rapporto senza rapporto sessuale non possa definirsi tale: è come se qualsiasi confronto o conversazione con una donna debba essere necessariamente finalizzato a concludersi in stretta intimità con la stessa. Ciò implicherà un ritiro sociale del soggetto e una conseguente riduzione della qualità della vita.


Nell’ipergeneralizzazione vediamo come uno specifico evento è visto come essere caratteristica di vita in generale piuttosto che come essere un evento fra tanti: è fare di tutta l’erba un fascio. Il paziente potrebbe pensare: “Non sono riuscito ad avere l’erezione una volta, perciò non riuscirò a produrla in nessun’altra situazione futura”. L’emozione che ne scaturisce non può che essere di tristezza e di paura: lo sconforto nel prospettarsi a mente la propria incapacità ad avere un rapporto non permetterà di eccitarsi e quindi di produrre l’erezione.


Con l’astrazione selettiva, un aspetto di una situazione complessa è il focus dell’attenzione e altri aspetti rilevanti della situazione sono ignorati: è vedere il bicchiere mezzo vuoto. Il paziente potrebbe pensare: “Sono riuscito ad avere una relazione con una donna, ma senza procedere alla penetrazione”, più concretamente “Sono riuscito a fare una passeggiata con una donna, ma non sono riuscito a portarmela a letto”. Considerando il sesso come scopo unico della relazione, il soggetto che ragiona in questa maniera sarà indotto ad una mancanza di desiderio a fare una nuova uscita con quella donna e, dunque, all’evitamento della frequentazione. Fatto che, a sua volta, potrebbe fargli scaturire dei convincimenti di autosqualificazione del sé, reputandosi un fallimento e prospettandosi che anche le relazioni future andranno a finire con un nulla di fatto in termini di performance sessuale: da qui ansia, paura e tristezza che impediscono l’eccitamento.


Con l’errore cognitivo della squalificazione del lato positivo, le esperienze positive che sono in contrasto con la visione negativa sono trascurate sostenendo che non contano nulla in confronto ad altre di matrice opposta. Il paziente potrebbe dire: “È inutile frequentare delle donne se non si può avere un’erezione”. In questo modo il soggetto inizia a riferirsi al sesso opposto esclusivamente come un rapporto mancato e non come la possibilità di una conoscenza e di una frequentazione con baci e carezze piacevoli. Ciò inibirà sempre più il paziente che vede il rapporto sessuale come fatto esclusivo e fondamentale di ogni approccio relazionale: il che lo induce a frenare ogni tipo di frequentazione e di eventuale innamoramento o implicazione sentimentale.


In base alla lettura del pensiero, le persone sostengono che altri individui stanno reagendo negativamente senza alcuna prova evidente di ciò che affermano: è credere di sapere che l’altro pensa di sé negativamente anche contro la rassicurazione di quest’ultimo. Il pensiero che tormenta il paziente ha sempre al centro dell’attenzione l’impossibilità di avere un rapporto, un’erezione. La maggior parte dei soggetti con ansia da prestazione mette al primo posto l’erezione e il rapporto sessuale: tali mancanze gli inculcheranno convinzioni fallimentari sbagliate.
Tra i pensieri pratici riferiti in studio dai pazienti, ritroviamo: “Penserà di me che non sono capace…”. Ma trattasi, in realtà, di generalizzazione catastrofizzante: l’autopensarsi incapace di essere un ottimo amatore sfocia nel pensiero catastrofico di non valere nulla.


O ancora: “Penserà che sono impotente”. Il soggetto si percepirà debole, in quanto aggettivo opposto di potente, e avrà paura che la partner lo reputi così: è illogico pensare che la potenza di un uomo possa misurarsi sulla qualità dell’erezione e sulla durezza del pene.
Altro errore cognitivo pratico: “Penserà che non sono in grado di dare piacere alle donne”. È sbagliato far gravitare tutto intorno all’erezione: quanto più ci si sforza ad avere un’erezione, tanto più si faticherà ad averla e si cadrà nella considerazione fallimentare di sé.
Ennesimo esempio di lettura del pensiero: “Penserà che mi faccio intimidire dalle donne”. Questa, per il paziente, è un’immagine personale gravissima perché s’instaura come credenza nella sua mente. Rispetto a questo modo di pensare allora sarà ovvia la mancanza di erezione come conseguenza degli errori cognitivi e degli stati emotivi di ansia e di paura che s’innescano.


Incappando nell’errore cognitivo del riferimento al destino, l’individuo reagisce come se le proprie aspettative negative sugli eventi futuri siano fatti stabiliti, ovvero sa già che succederà una certa cosa o che una certa cosa andrà male. Può sembrare banale e scontato precisare che l’uomo non ha, tra le sue innumerevoli capacità, la dote della preveggenza. Il paziente potrebbe pensare: “Ormai sarà sempre così: lo so già che non riuscirò ad avere mai più l’erezione”. Questa immaginazione provocherà tristezza nel soggetto che automaticamente non sarà in grado di eccitarsi e di produrre l’erezione, confermando in tal modo quanto già si era prospettato. Motivo per cui molti pazienti con tali pensieri cominciano a non cercare nemmeno più un approccio, una conoscenza o una frequentazione con una donna: l’ansia di fallire è più intensa di qualsiasi altro desiderio. L’evitamento è una forma (sbagliata) di autoprotezione, messa in atto dal soggetto per evitare di minare alla radice la residua autostima.


Altro pensiero comune è: “Devo abituarmi all’idea di non poter avere un’erezione”. Questa è una chiara forma di rassegnazione: questo è il pensiero riferito, tuttavia la persona non riuscirà mai ad abituarsi a tutto ciò o a farsene una ragione, perché desidererebbe consumare un rapporto, ma è convinta di non riuscirci e per questo lo evita, abituandosi all’astinenza. È certo di non poter produrre un’erezione in presenza di una donna, benchè quando si è da soli in casa le erezioni di qualità non manchino, spontanee o indotte da materiale erotico audio-visivo o immaginativo durante la pratica masturbatoria, in virtù del fatto che non gli è richiesto alcun contatto diretto con l’eventuale donna da penetrare. L’erezione si produce ristrutturando certi tipi di pensiero altamente negativi.


O ancora: “Nessuna donna vorrà stare mai con me”. Se è questo il pensiero principale, il soggetto finirà con l’abbandono della ricerca di una partner da conoscere e frequentare ed eviterà a priori questa tipologia di situazione che potrebbe sfociare in un rapporto intimo perché si dice consapevole che tutte lo rifiuteranno. Ma questa strategia di evitamento nel fronteggiare la situazione, non farà altro che consolidare la convinzione di non essere in grado di avere una donna che lo apprezzi.
Con la catastrofizzazione, gli eventi negativi che possono capitare sono trattati come intollerabili catastrofi piuttosto che essere visti nella giusta prospettiva. Il paziente, in questo contesto, potrebbe generare pensieri del tipo: “La mia vita è rovinata”, in riferimento alla mancanza d’erezione. È la vita di coppia semmai ad essere insoddisfacente, è una vita incompleta, ma non è un problema irrimediabile: la ristrutturazione dei pensieri conseguirà la possibilità di ritornare a produrre l’erezione e l’atto penetrativo.


Altro pensiero tipico: “È gravissimo non riuscire a soddifare una donna”. Sicuramente è una sensazione spiacevole, ma non è assolutamente ciò che di più grave possa accadere nella vita, anche perché è perfettamente risolvibile.
Ancora: “È una catastrofe rinunciare ai uno dei piaceri della vita”. Si tratta di un pensiero più relativizzato rispetto ai precedenti in quanto si parla di “uno dei” e non “dell’unico piacere della vita”. Cominciando, passo dopo passo, a ristrutturare le convinzioni estremizzanti, si ridimensioneranno di conseguenza le emozioni di paura e di preoccupazione che intervengono per dare vita e forza al disturbo d’ansia da prestazione.


L’errore cognitivo del ragionamento emotivo induce a considerare le reazioni emotive come reazioni strettamente attendibili della situazione reale. Ad esempio, decidere che siccome ci si sente sfiduciati, la situazione è senza speranza. Il paziente potrebbe pensare: “Dato che mi sento così intimidito/spaventato/triste/ansioso, allora è vero che nemmeno questa volta riuscirò ad avere un’erezione e un rapporto sessuale”. Lo stato emotivo è assunto come prova del proprio futuro insuccesso: ragionando così, il fallimento sarà purtroppo inevitabile. È evidente che questo errore di pensiero ne consegue un altro, ovvero quello dell’ipergeneralizzazione, in base alla quale “Dato che non sono riuscito ad avere l’erezione una volta, non ci riuscirò mai più in futuro”: ma non è possibile riferirsi al destino con capacità di preveggenza di cui non si è dotati.


La doverizzazione è l’uso di “dovrei”, “devo”, “bisogna”, “si deve”, ecc… per assicurare la necessaria motivazione e il controllo al comportamento. Ad esempio, il pensare che un amico deve stimarci, perché bisogna stimare gli amici. Chi compie tale errore si basa sui concetti di “devo…”, “si dovrebbe…”, “gli altri devono…”. In questa categoria vi è, da parte del paziente, la percezione del dovere della sua condotta e della doverizzazione degli altri nei suoi confronti: ogni volta che ci s’impone di fare qualcosa o ci si aspetta qualcosa da altri, si sta male perché il senso di costrizione per sé nei confronti degli altri (“devo fare”) o per gli altri nei confronti di sè (“gli altri devono fare”) induce a un’emozione negativa (delusione, tristezza, rabbia). Il paziente potrebbe pensare: “Devo assolutamente riuscire ad avere un’erezione e un rapporto sessuale”. Questo meccanismo mentale è controproducente: ogni volta che ci si impone di riuscire per forza in una certa cosa, l’emozione sarà sicuramente negativa, tant’è che in un contesto intimo di approccio concreto al rapporto sessuale l’effetto diretto dello stato emotivo di agitazione ansimante sarà naturalmente quello della mancanza di erezione.


Altro schema di pensiero: “Devo avere l’erezione per avere un rapporto/per poter incontrare una donna”. È un assurdo logico perché la frequentazione o la conoscenza di una donna non dipende dall’avere o meno un’erezione, a maggior ragione che si tratti di un problema temporaneo e assolutamente curabile.
Ennesimo pensiero sbagliato del paziente: “Far godere la donna è un dovere dell’uomo”. A questo schema cognitivo del tutto errato si potrebbe rispondere con una provocazione: per far godere una donna non è necessaria la penetrazione né un pene in erezione, in quanto si potrebbe praticare una stimolazione clitoridea procurandole ugualmente piacere.
Ancora: “Devo fare attività sessuale per godermi pienamente la vita”. Come a dire che, una volta divenuti anziani e impossibilitati per questioni organiche a produrre l’erezione, si smetterà di godere la vita: è un’assurdità.


L’etichettamento consiste nell’attaccare un’etichetta globale a qualcuno piuttosto che riferirsi a specifici eventi o azioni. Il paziente potrebbe avere pensieri del tipo: “Non riuscire a soddisfare una donna è da incapaci”, “Non avere una vita sessuale decente è da falliti”, “Non essere capace di riprodursi significa essere un ramo secco dell’evoluzione”. La persona con problema d’ansia di prestazione pone al centro della propria esistenza l’erezione come fattore assolutamente prioritario per avere relazioni con soggetti dell’altro sesso: la mancanza di una normale funzionalità erettile la porta ad autoetichettarsi un fallimento. Questa forma altamente autosqualificante quanto illogica può essere corretta attraverso le terapia cognitivo-comportamentale che ristruttura la negatività degli schemi cognitivi posti in atto.


Con la personalizzazione si tende ad assumere che una è la causa di un particolare evento quando nei fatti sono responsabili altri fattori. Rientrano pensieri del paziente, quali: “È colpa mia se non ho una vita sessuale decente”,”È colpa mia se non avrò figli”, “È colpa mia se nessuna ragazza mi vorrà mai”, “È colpa mia se non riuscirò a far godere una donna”. Assurdi logici come questi, che non possono far altro che generare e alimentare emozioni di tristezza, condizioneranno in negativo la possibilità di produrre un’erezione, che verrà così a mancare. È assurdo addossarsi la colpa di non essere stati degli esperti di psicologia cognitiva per comprendere che la causa reale della mancanza di erezioni fossero i pensieri e null’altro: non si poteva sapere in quanto trattasi di meccanismi noti a chi è specialista del settore. Un lavoro mirato di psicoterapia permetterebbe, però, di venire a conoscenza diretta di queste tecniche e strategie utili e funzionali alla ristrutturazione e, gradualmente, alla remissione dei sintomi e del disturbo stesso.


Un altro strumento fondamentale per la comprensione e la cura del disturbo di ansia e di attacco di panico, nonché per l’ansia da prestazione sessuale (perché, è bene sottolinearlo, il trattamento di psicoterapia cognitivo-comportamentale è standard), è la curva di Gauss, con cui s’intende la rappresentazione grafica di una curva (equivalente alla forma di un dosso) sugli assi cartesiani, dove l’asse orizzontale indica il tempo (t) e quello verticale l’intensità (i).
La curva rappresenta l’andamento della crisi di ansia/panico/ansia da prestazione, dal punto di partenza della crisi (0, zero) che, col passare dei minuti, sale gradualmente d’intensità nella manifestazione dei sintomi fisici raggiungendo l’apice (100, cento), fino al suo decrescere naturale e al suo annullamento (0, zero): la durata complessiva della crisi è di circa 15-20 minuti, in cui l’espressione massima si realizza intorno agli 8-10 minuti e che una volta raggiunta dà il là alla sua discesa progressiva.


Il paziente che avverta la crisi generalmente si allontana subito dal luogo o dalla situazione che l’ha scatenata (nel nostro caso, la possibilità concreta di avere un rapporto sessuale), cosicchè la fuga suscita un alleviamento dell’intensità della stessa: questa forma di fuga/evitamento, però, non fa altro che cronicizzare il problema in virtù di dinamiche psicologiche che s’instaurano nel paziente, che gli qualificano come corretta una credenza (quella sulla fuga) sbagliata.
Fuggendo dalla crisi non si raggiunge l’apice della stessa, ma la si blocca: è come se la curva di Gauss non completasse il suo andamento e ritornasse indietro al punto di esordio. Il che provoca un fronteggiamento sbagliato della situazione e una distorsione cognitiva nel paziente, il quale, in preda agli esordi di una crisi d’ansia da prestazione, comincerà a temere le sue conseguenze – frutto di un’esposizione immaginativa catastrofizzante – che altro non sono che prodotti di errori di pensiero che lo inducono a fuggire dalla situazione critica. Questa fuga, dunque, non gli consente un’esposizione strategica alla situazione fobica (con cui s’intende l’esposizione alla durata completa e naturale dell’evento critico), che invece permetterebbe di vincere sul disturbo, in quanto inizierebbe a strutturarsi nel paziente un processo di abituazione e di tolleranza ai sintomi fisici, modificandone le credenze, le valutazioni e le strategie rispetto al problema.


Con l’esposizione strategica il paziente comprende, in primis, che la crisi d’ansia da prestazione sessuale si risolve naturalmente, senza alcun bisogno di fuga e, soprattutto, che essa non provoca determinate conseguenze immaginate e temute. Esponendosi completamente alla situazione, di volta in volta, l’ansia partirà dopo rispetto al tempo, sarà meno intensa e terminerà prima. Il picco di intensità e di paura saranno sempre minori rispetto all’esposizione in vivo precedente (la curva di Gauss sarà sempre più bassa): l’obiettivo ultimo di conseguire un atto penetrativo soddisfacente non sarà più un miraggio. E quando l’ansia è ormai pari a zero, scatta nel paziente un meccanismo importante, quello dell’abitudine. La strategia molto potente di fregarsene di avere un’erezione, di eventuali giudizi, porterà il paziente a produrla nel momento d’intimità con la propria partner, godendosi appieno il rapporto sessuale.


Il disturbo di ansia da prestazione legata alla disfunzionalità erettile è, lo ribadiamo, connessa ai pensieri distorti, la cui cura consiste nella ristrutturazione cognitiva degli stessi per dare loro una forma giusta, logica e normale.
In studio sono stati risolti numerosi casi clinici per mezzo di una semplice strategia tecnica: il paziente e la sua partner stanno insieme nel proprio letto indossando degli slip, con la possibilità di baciarsi, accarezzarsi, stringersi, palparsi, ma indipendentemente da quello che succeda, dandosi come regola, condivisa da entrambi, quella di non consumare un rapporto sessuale e di non scoprire le proprie parti intime. È un gioco al contrario: in tal modo il paziente non avrà avvertito alcuna richiesta di consumare una penetrazione, pertanto l’erezione non è importante per baciare o accarezzare la propria donna. Questa strategia ha funzionato perché non ha generato alcuno stato emotivo di paura, tristezza e preoccupazione

Data di pubblicazione: 05 April 2023

Articoli

Lascia il tuo primo commento!

Inserisci il tuo commento